Ti ricordi la storia di Peter Pan? Peter è un bambino spensierato e immaturo, che si rifiuta di crescere e che vive un’eterna infanzia sull’Isola che non c’è. Ad accompagnarlo nelle sue peripezie c’è la sua amica Wendy, una bambina di 10 anni, che si prende cura di lui e dei Bimbi Sperduti, cercando di insegnare loro le buone maniere. Nonostante la sua giovane età, Wendy si comporta da adulta e si prodiga nell’aiutare gli altri, perché questo la rende felice. La sindrome di Wendy, meglio conosciuta come la Sindrome della crocerossina, prende il suo nome proprio da questo personaggio letterario.
Non è corretto definire questa sindrome come un disturbo psichiatrico, poiché non fa parte dell’elenco ufficiale delle patologie mentali del DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), tuttavia essa descrive una modalità di stare in relazione alquanto disfunzionale.
In che cosa consiste la Sindrome della crocerossina?
La crocerossina, proprio come Wendy, tende ad aiutare tutti coloro che si trovano in difficoltà, con estrema dedizione, anche a scapito di se stessa. Le persone affette da Sindrome della crocerossina si mostrano, dunque, molto protettive e accudenti, sono sempre pronte a soddisfare, compiacere e giustificare l’altro, anche se questo comporta il sacrificio di se stesse e dei propri bisogni. Questi comportamenti possono essere attuati nei confronti di chiunque (genitori, figli, amici, colleghi…), tuttavia, nella maggior parte dei casi vengono realizzati nei confronti del partner. Solitamente gli individui che vengono soccorsi sono persone complicate, che spesso hanno una storia difficile alle loro spalle. Nelle relazioni sentimentali “la crocerossina” corre il rischio di scegliere dei partner particolarmente problematici, magari violenti o con una qualche forma di dipendenza, nella speranza di riuscire a salvarli.
La Sindrome della crocerossina colpisce sia uomini che donne, anche se, per motivi socio-culturali, risulta più frequente in queste ultime.
Che cosa si nasconde dietro al bisogno di accudimento della crocerossina?
La convinzione alla base dei comportamenti delle persone affette da Sindrome della crocerossina è: “Io ti aiuterò, mi prenderò cura di te e tu per questo mi sarai riconoscente e mi amerai”.
Queste persone vivono il soccorrere gli altri come una sorta di missione da portare avanti per dare un senso alla propria vita e sentirsi utili. L’altra persona diventa, quindi, uno strumento attraverso cui colmare il senso di solitudine e il vuoto affettivo che la crocerossina porta dentro di sé. Dietro a queste attenzioni amorevoli si nasconde, in realtà, anche un tentativo, spesso inconsapevole, di manipolazione dell’altro: rendendosi sempre compiacente e disponibile, infatti, la persona con Sindrome da crocerossina cerca di tenere legato a sé il proprio compagno e di evitare un possibile abbandono.
Questi individui si sentono molto insicuri, perché nel corso della loro vita hanno imparato che si può essere amati sono in modo condizionato, ossia “a patto che…” ed è per questo motivo che nelle relazioni l’approvazione e il riconoscimento sono per loro indispensabili.
Purtroppo, nella maggior parte dei casi queste relazioni finiscono male, perché la persona che viene soccorsa e che inizialmente si è lasciata accudire, quando comincia a sentirsi meglio vive come opprimenti tutte le attenzioni da cui è sommerso e inizia a rivendicare la propria autonomia. La fine della storia rappresenta per la crocerossina un totale insuccesso, che va a confermare la sua convinzione di non essere degna di amore.
Se ti sei riconosciuto in questa descrizione, forse ti starai chiedendo che cosa puoi fare. Innanzitutto è indispensabile che tu prenda consapevolezza di avere un problema e riconosca la tossicità di questo tipo di relazioni. È importante comprendere l’origine di questa modalità di comportamento, capire che nessuno cambia se non desidera realmente farlo e che l’amore e il riconoscimento sono gratuiti. È necessario lavorare su di sé, imparare a conoscere e stare in contatto con i propri bisogni e le proprie emozioni, in modo da cominciare piano piano a dare a se stessi quell’amore che tanto si desidererebbe ricevere dagli altri. Solo amando se stessi, infatti, è possibile costruire delle relazioni sane e paritarie, nelle quali si è amati e riconosciuti per quello che si è e non per quello che si fa.